08/02/15
Studio italiano conferma potere antiage della proteina Creb1. Si produce se si assumono meno calorie. Più salute per la gente e anche per il pianeta.
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"Chi ha paura di sognare
e' destinato a morire"
Bob Marley
 


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Stelle ballerine e altre storie
La Sardegna sarebbe interessata molto a Peter Kolosimo















Agosto 2009. Sardegna.

Su di un altopiano, nella regione delle giare del medio campidano, i resti di un’antichissima città perduta, centro di una civiltà che molti millenni fa fu fecondata dalla conoscenza di "giganti" venuti da "altrove"....  Centinaia di loro resti occultati, sequestrati, negati dall'omertà e dalla menzogna "ufficiale"…

Non è al trama di un nuovo romanzo di fantasy. Due i modi in cui secondo me potrebbe essere definita questa storia: un curioso caso di mitomania e mistificazione collettiva… oppure un interessante caso di memoria comune di un’identità storica che ha resistito per decine di secoli in netta contraddizione coi testi accademici.

Luigi ha gli occhi lucidi mentre ci parla delle sue battaglie per ottenere verità, mentre ricorda quando suo nonno lo portava a cavallo sull'altura dei templi a pregare il Sole o ai pozzi sacri a onorare Luna e Stelle... come molti dei suoi coetanei facevano fino ad allora.  Prima che quello che ne rimaneva dopo “l’onda”, che molti millenni fa sommerse un terzo dell’isola, venisse definitivamente distrutto dai sistematici interventi di “gente estranea” venuta da fuori con ingenti mezzi sulla base di soffiate di.. “sicari in tunica nera e crocifisso”, o più semplicemente dall’incuria e dall’insensibilità di buona parte degli stessi locali.

 Mi si è stretto il cuore quando nel pieno dell’estate mi ha condotto lassù con alcuni amici comuni. C'è ancora una vitalità straordinaria, nonostante l'apparenza. Se è solo una suggestione devo dire di non averne mai avuta una così intensa. Nell’aria c’è qualcosa di sospeso, come l’eco di una grande animazione appena terminata, qualcosa che si muove tra terra e cielo e tra cielo e terra. E poi una memoria vivissima che risveglia ricordi atavici. Sembra di scorgere ancora i canali concentrici (così dicono i nonni) che conducevano al mare le loro navi mosse da un'energia a noi sconosciuta, che li portavano oltre gli oceani. Alcuni abitanti della zona hanno ancora in casa alcune delle numerosissime anelle di ferro enormi utilizzate un tempo per attraccare le imbarcazioni agli argini. Il nome che ha oggi questo paese significa “palude dell’acqua dei re”. C'è un luogo che da sempre la gente chiama "la piana degli Aztechi". Quando al centro del Campidano c'era ancora un grande lago collegato al mare (gli ultimi residui di palude sono stati bonificati all’inizio del secolo scorso) gli indigeni usavano imbarcazioni di canne identiche a quelle usate tuttora sul lago Titicaca, per giunta chiamate quasi allo stesso modo: i "fassonis; ne rimangono ancora oggi a San Giovanni Sinis, sullo stagno di Santa Giusta.

Sono andato con la memoria ad alcuni dei testi di Kolosimo e Von Daniken che avevo letto nella mia adolescenza, che riportavano simili descrizioni di razze più evolute che avevano portato civiltà, tecnologia e sviluppo sociale, ma non ricordavo proprio qualcosa che provenisse dal nostro mediterraneo.
Non è un solo uomo o qualche svitato la fonte di questo racconto ma un’intera comunità.
Luigi si sta battendo per salvare se non i reperti almeno la tradizione, tramandata ancora oralmente com’è stato in uso da sempre nella civiltà sarda, mancando (in parte per scelta, il parte per “censura”) lo strumento della scrittura. Quello che gli storici chiamerebbero un mito, per la gente del posto fino a non molti anni fa era semplicemente la propria storia.

E i “giganti” i propri antenati. Hanno iniziato a riemergere numerosi i loro resti quando, dopo le bonifiche, in tempi più recenti i trattori permisero di scalzare il suolo più in profondità. Luigi parla di decine e decine di ritrovamenti di tombe con scheletri e mummie ancora in perfetto stato, apparentemente umani, talvolta umanoidi (cranio più allungato, sei dita per mano…) e poi oggetti sacri, tesori. Ma prima che la gente iniziasse a rendersi conto della straordinarietà di quei reperti, a volte i tombaroli, forse al soldo di qualcuno e a volte direttamente i più forti interessati (raccontano “con tanto di elicotteri e protezione militare”) sono riusciti a cancellare le tracce più significative.

Ma c’è dell’altro.
Tutte le notti da molti anni (chissà da quanto), nel cielo “le stelle si animano". Ogni tanto luci inspiegabili si muovono, si fermano, viaggiano affiancate, procedono con traiettorie a onda, si illuminano improvvisamente come esplodessero, spariscono d’un tratto, a volte sembrano atterrare, anche non lontano. Passano aerei su quella rotta, anche militari; passano satelliti talvolta e d’estate molte stelle cadenti: tutti molto ben identificabili. Ma questa è tutt’altra cosa. Tre notti ho passato lì e parecchi sono stati gli avvistamenti. C’è traffico di questi oggetti speciali come se fossimo sopra un aeroporto (l’altopiano di cui sopra, la maggior parte si dirigono in quella direzione). Alcuni amici che frequentano il posto da tempo mi dicono di aver avuto anche incontri più ravvicinati (pochi metri) con luci e con presenze percepite e fenomeni sconcertanti (vibrazioni, odori, rumori, passi, sfioramenti…)

Una sera Luigi mi scruta come a valutarmi e poi mi dice: "…Lo so che vorresti chiedermi di più. Io vivo qui da sempre e ne ho viste molte ma è difficile parlare di certe cose, già ti prendono per matto solo se parli di luci anomale… figurati se parlo di incontri, di voci, di messaggi, di sagome umane o animali… Se vuoi la mia impressione, sembra che dominino lo spazio e il tempo... è come se si muovessero attraverso le dimensioni... Io voglio credere che siano i nostri antenati… Da bambino quando ho visto la mia prima mummia le sono rimasto abbracciato a lungo, piangendo, come avessi ritrovato un antico padre... Forse ci stanno preparando a poco a poco ad un ritorno. Chissà..” .
A parte Luigi, ho conosciuto altra gente del posto, e anche i miei amici mi confermano che molti altri sanno, in paese e nei dintorni, da sempre vedono le luci (a volte persino in giardino, o in casa, oppure le vedono seguire le loro auto) e molti si sono imbattuti perlomeno nei resti di qualche scheletro abnorme.  Ma la verità è davvero troppo scomoda e le minacce (ci sono state e ci sono) sono molto dissuasive.

E’ un uomo semplice Luigi, cresciuto come pastore e poi trasportatore. La sua schiettezza e la sua “ignoranza” lo portano ad esprimersi troppo direttamente, manca di diplomazia ed è troppo poco prudente. Alla prima conoscenza lo si può facilmente bollare senza riserve come un matto o un fanatico. Qualcuno dice anche che è un furbacchione e truffatore e vuole farsi pubblicità per speculare. In effetti per sua ingenuità è finito anche nelle mani di giornalisti e televisioni che ne hanno approfittato, quando non per ridicolizzarlo, almeno per fare un po’ di salotto o di vano clamore. In quanto allo speculare…basta vedere come vive: da solo, in una casa umilissima, quasi non lavora più, a volte lo aiuta la madre. Ha voluto scrivere un libro senza nessun aiuto, quindi improponibile per il suo linguaggio troppo “grezzo”, ed in più “scomodo”,  quindi gli hanno bloccato stampa e distribuzione dopo la pubblicazione di uno scarso numero di copie. Ha iniziato a scolpire la trachite, statue bellissime (sono i giganti che vede o gli archetipi ad essi collegati) e a dipingere. Ma non vuole vendere per non correre rischi. Però in quel libro che in qualche modo per assurdo sa davvero di “autentico”, (proprio perché non calcolato né leccato) Luigi ha avuto la grande idea di far parlare una ventina di paesani, prima che passi loro del tutto la voglia o il coraggio di farlo: una foto, il nome, qualche domanda e i ricordi personali. Bellissimo… E ancora di più parlano le foto delle sue sculture e dei suoi “elementari” quadri, allegate alla stampa.

L’ultimo giorno che ci siamo visti mi ha portato di nuovo sull’altura dove ho visto alcuni dei resti di costruzioni che si trovavano tutte sulla grandissima cerchia esterna della città antica: decine di tombe dei giganti, pozzi sacri, torri, un nuraghe multiplo gigantesco e i resti ormai appena visibili di due piramidi a gradoni di un materiale che era una lega di pietra e granito, ricoperta di quarzo che splendeva alla luce della luna, del sole e delle stelle. Sono trent’anni che giro la Sardegna, ne sono affascinato; credevo di averne esplorato ogni angolo e mai mi sarei aspettato di vedere una cosa simile: è ingiustificabile la trascuratezza e l’abbandono. Se non con un disegno preciso e intenzionale funzionale a chissà quali interessi.

Abbiamo visto anche l’area che ancora oggi sulle piante catastali è indicata come quella “dell’ospedale”: di realtà storica incerta ma ben noto a tutti perché ne riferisce “l’altra storia”. Alcuni degli scheletri rinvenuti portavano segni di operazioni chirurgiche molto delicate ed avanzate…
Ci siamo messi a pulire dalle erbacce che oscuravano quella che Luigi chiama “la tomba del Re”, mentre esprimeva tutta la sua amarezza, perché ogni volta che va lassù deve sopportare quella devastazione e quelle recinzioni della sovrintendenza che gli impediscono l’accesso. “Ma ti rendi conto?” mi dice, “ un sardo e un etrusco insieme che puliscono a mano la tomba di un Re! E se ci beccano ci arrestano pure! …Uno può andare al cimitero a portare fiori e pregare i nonni… ma già solo se ti avvicini qui sei guardato con sospetto! … Ci rubano il nostro passato.. ci rubano l’identità! … Lo fanno da secoli… Io sono tra gli ultimi che hanno avuto la fortuna di crescere con questa storia abbastanza liberamente, un passato così sentito e vissuto nella mia famiglia e tra la mia gente che nessuno si sognava di metterlo in discussione, nemmeno quando a scuola si studiava tutt’altra versione ”

Da un’altura guardavamo quel che restava dell’enorme cerchia dei nuraghe. Non ci vuole molto a capire che non sono stati pastori o cacciatori a edificarle, né nel neolitico, né nell’età del bronzo. Le mura in pietra dei nuraghe o dei pozzi sacri disposte in circolo ti danno l’unica possibilità di volgere lo sguardo in alto. Sono un riparo dalle distrazioni terrene in modo che l’attenzione sia dedicata solo al cielo. Quando vi entri lo sai che l’aria che tira non ha niente a che vedere con le cose terrene. Sono e son sempre stati (almeno nelle origini) luoghi di culto. Ed è il posto giusto per far sentire la propria voce; quella dell’anima. E’ questo che ho sempre sentito anche nelle cosiddette “tombe” dei giganti o nei circoli megalitici. Ero appena diciottenne quando ho messo (o rimesso?) piede in Sardegna e insieme a quella che sarebbe stata la donna della mia vita mi sono innamorato di questa terra potente, aspra e severa, dolce e bella come una Grande Madre,  che mi ha stregato, rapito, adottato…  ed iniziato a trasmettermi richiami atavici, a risvegliare vaghi ricordi lontanissimi a cui non ho mai saputo dare un senso compiuto.
Di fatto anche in questo caso, più che le luci, più che i racconti di Luigi sui Giganti e i legami con antiche civiltà perdute, più che i racconti delle esperienze forti di alcuni amici… più di tutto questo è stato proprio il luogo che mi ha toccato.

Per  oltre trent’anni ogni viaggio sull’isola è stato per me occasione di esplorazione e scoperta degli angoli più nascosti, testimonianze di un antico passato ma anche semplicemente luoghi naturali, boschi, sorgenti, grotte, gole, cascate… straordinari per il fascino e l’emozione veramente speciale che sempre mi hanno dato. Ma su quell’altipiano brullo e desolato, come sono sceso dall’auto il cuore ha iniziato a battermi come quello di un bambino eccitato e confuso di fronte a qualcosa di grandioso, invisibile, indefinito ma al tempo stesso intimo e familiare, come un’identità, un memoria perduta…   Ho vagato un po’ cercando di capire, di cogliere qualcosa come da una stazione su cui mi sentivo sintonizzato ma di cui percepivo solo tracce appena avvertibili, come le code di una trasmissione appena avvenuta, perse nel fruscio di fondo della frequenza. Tutt’ora ogni volta che ci ripenso mi sento appeso a quel senso di gioia e di aspettativa, mista a dolore e malinconia.

I “segni” che ho raccolto in quei giorni per me sono inequivocabili e mi hanno dato ragione di tanti anni di interrogativi raccolti nel mio vagare tra i luoghi magici dell’isola. Non parlo di spiegazioni logiche, ricostruzioni storiche, non sono bravo in questo, il mio approccio è molto poco “intellettuale” e invece parecchio “emotivo”, empirico, irrazionale; mi affido al mio sentire perché è una modalità di approccio che mi è più congeniale, mi aiuta a trattenere di più le esperienze e a “concatenarle”. Come a Luglio, quando a conclusione della Hanbleceya (la “ricerca della visione”) sulla montagna, nell’ultima Inipi (capanna del sudore) ho avuto la visione di una ruota di medicina la cui croce centrale era composta da quattro aquile. Nei giorni successivi una serie di “coincidenze” e decisioni d’impulso mi ha portato ad un’escursione con un’amica  in una valle silenziosa dell’Abruzzo. Appena scesi dall’auto una volpe ci ha affiancato e accompagnato per un pezzo (eravamo increduli perché è un’animale schivo e prudente…). Dopo quattro ore di salita solitaria, sulle creste un sibilo nell’aria ha annunciato una ad una quattro aquile che hanno seguito il nostro percorso ed infine hanno stazionato insieme immobili, maestose, irreali, appena dieci-quindici metri sopra di noi, osservandoci.
In trent’anni di alpinismo e avventure in montagna non mi era mai capitato di vedere neanche un falco a quella distanza e in quelle condizioni. E’ indescrivibile l’emozione di quell’incontro.

E così è stato un mese dopo in Sardegna, su quell’altipiano, quando due grossi falchi hanno volato insieme vicino a noi, entrambi i giorni che vi siamo saliti e lì… qualcosa ha permesso che io trovassi due loro penne, una un giorno ed una il successivo, una di ala ed una di coda. In dieci anni che cammino sulla “via rossa” tra penne di rapace d’ogni tipo non mi era mai capitato di trovarne una da solo. Ora quelle due le porto sul capo quando uso la mia fascia di cerimonia.
Ecco cosa intendo quando parlo di “segni”, come codici di comunicazione sempre disponibili che se raccolti possono indicare come i nodi di una rete invisibile di connessioni e relazioni che rendono più efficaci e dinamici gli eventi interiori ed esteriori della nostra vita e ci rendono più consapevoli della loro naturale realtà multidimensionale.

Mi aveva scosso l’incontro con Luigi e la sua terra e prima di ripartire per Roma ho voluto passare una notte da solo sulla cima di Monte Arcuentu, una torre di trachite tronco-conica isolata, con pareti verticali, accessibile a fatica solo da un ripidissimo sentiero. In cima non ti aspetteresti di trovare un piccolo boschetto, i ruderi di un vecchio castello e due baracche di frasche costruite dai frati francescani per i loro eremitaggi. Mentre salivo, accompagnato dall’esperienza degli ultimi giorni, approfittavo per ricapitolare molti anni di sogni lucidi e visioni collegate a… fratelli e momenti di un altro tempo. Mi è familiare e caro quel luogo, ci sarò salito almeno venti volte. Eppure quella notte mi ha riservato emozioni che non scorderò mai.

Appena assopito, sdraiato sulla roccia più alta che domina mezza isola e i suoi mari sui tre lati, un lupo non fisico è venuto a sdraiarsi proprio sopra di me, talmente reale da sentirne il peso, il pelo, le unghie, il fiato. Quando ho tentato di scansarlo mi ha afferrato la testa con la bocca a fermarmi, ma senza stringere, come a placcarmi. Superata la paura ho sentito il suo intento severo ma protettivo. E’ restato con me a lungo. Poi è venuto a trovarmi mio padre (nel fisico ormai quasi infermo), felice di poter condividere quel momento con me, lassù. Abbiamo esplorato insieme le caverne interne della montagna dove abbiamo trovato tanta gente riunita per apprendere le antiche arti, per celebrare, meditare, cantare, pregare, guarire, suonare, raccontare, mangiare e ridere…E’ piovuto senza piovere e altre cose che non ricordo sono successe senza succedere.

Prima che fosse giorno e di svegliarmi, ho vissuto un altro risveglio sulla scena ancora calda di una cerimonia appena conclusa… vapore fumante, coperte umide stese ad asciugare, odore di erbe, di terra e di brace, atmosfera intensa e purissima. C’era tutto tranne le persone… come si fossero dissolte o trasferite altrove…  mi è sembrato di essere proiettato in una situazione che avesse a che fare col nostro futuro possibile… All’ultimo risveglio, quello fisico, mentre sistemavo le cose per ridiscendere, controllo il cellulare e scopro che lo schermo era “bruciato”. Al posto di scritte e foto una macchia scura striata con riflessi colorati che mentre la osservavo spostando l’inclinazione verso le luci dell’alba ha mostrato un’immagine che mi ha fatto salire un brivido lungo la schiena: un volto non umano, allungato, occhi a mandorla obliqui, orecchie lunghe, testa appuntita, bocca fine e stretta… In quindici giorni la macchia lentamente è sparita.
… … …
All’aeroporto, prima di prendere l’aereo che mi avrebbe riportato a casa, pensavo ancora a questa storia e sentivo il distacco che mi attendeva e quanto sarebbe stato difficile questa volta il rientro. Ero in ritardo e stavo camminando velocemente verso i varchi quando con la coda dell’occhio vedo qualcosa che attrae terribilmente la mia attenzione, come un flash improvviso: è un libro che ammicca da una vetrina. Mezz’ora dopo ero in aereo con lui e stavo già alle prime pagine: “La Terra degli Dei” (ptmeditrice.com). Non un romanzo ma un saggio, un rapporto di un ricercatore sardo, Giovanni Cannella, sull’antica cultura perduta, basato principalmente sul lavoro straordinario di un suo conterraneo dei primi del novecento, Raimondo De Muro, studioso di tradizioni e cultura locale, che raccolse in un testo, scritto interamente in lingua sarda, quello che sino ad allora era stato tramandato solo attraverso il rigorosissimo metodo orale, ancora vivo sino ad allora in Sardegna.

È interessantissimo e sconcertante: si parla esplicitamente di uomini di altri mondi fuori dal nostro, esseri blu venuti dalle stelle (alcune anche identificabili, come Sirio) o da altre dimensioni, con cui i nostri antenati si unirono e collaborarono. Si parla di come le loro conoscenze portarono ad un’evoluzione tecnologica e sociale. Si parla delle torri che essi costruirono a migliaia per sfruttare certe pietre e certe strutture come elementi energetici di uno strumento di comunicazione. Si parla di come dopo la grande distruzione portata dall’acqua (la causa fu un evento cosmico che modificò l’inclinazione dell’asse terrestre e quindi il funzionamento delle costruzioni) non ci furono più per loro le condizioni per restare e di come gli uomini loro discendenti rimasti sull’isola continuarono a comunicare con essi attraverso il suono della loro voce, che induceva una trance attraverso la quale partivano per quello che chiamavano “galazzoni”,  un “viaggio” in cui visitavano altri mondi (o dimensioni spirituali) e di cui raccontavano al ritorno. Ancora oggi in certi nuraghe il suono riverbera a creare effetti molto particolari che inducono facilmente uno stato alterato.

Altri studi scientifici non ufficialmente riconosciuti dimostrerebbero come nella roccia di ogni nuraghe si possano rilevare “particelle subatomiche” riconducibili a quelle che emanano alcune stelle in particolare… Cannella riporta numerosissimi dati storici e documenti di origini diverse che porterebbero a rivedere del tutto la storia per come ci è stata insegnata e di come il lavoro di altri ricercatori in diverse parti del mondo, anche non collegati tra loro, stia contribuendo ad avvalorare questa nuova visione.

Tornato a casa, pochi giorni dopo in televisione mi è capitato di veder un servizio sugli studi che sono in corso da tempo per confermare l’ipotesi che la Sardegna sia stata interessata, forse 10-15.000 anni fa, da una grande disastro che sommerse e distrusse tutto ciò che si trovava alle base altitudini (qualche centinaio di metri). A questo si affiancano altre ricerche (per la prima volta in ambito ufficiale accademico!) e ipotesi di revisione storica sull’interpretazione degli scritti di Platone riguardo alla collocazione delle Colonne d’Ercole, quindi della sua Atlantide e alla possibilità di identificazione con la stessa Sardegna.
Sempre in quei giorni in televisione mi è capitato un servizio molto rigoroso che riferiva di un altro fenomeno di luci anomale che si manifesta regolarmente ogni giorno sulla costa di Gabicce, sulla costa romagnola, dove globi luminosi che sembrano animati giungono la sera dal mare e percorrono la costa e l’entroterra comportandosi stranamente, fermandosi improvvisamente, ingrandendosi e sdoppiandosi, in alcuni casi interagendo anche con gli esseri umani come fossero creature intelligenti e poi sfrecciando via velocissimi di nuovo verso il mare.

È l’unico caso in Italia che da mesi è monitorato con attrezzature avanzate da un istituto scientifico di astrofisica (di Bologna, mi pare). Il responsabile del progetto di studio, intervistato, si dice impossibilitato a fornire spiegazioni, poiché il fenomeno che all’inizio si pensava un particolare tipo di fulmine globulare in realtà pare essere tutt’altra cosa assolutamente mai vista che dovrà essere ancora studiata.

Infine,  ancora nei giorni successivi, con una persona incontrata casualmente per la prima volta mi ha consigliato l’ottimo libro dell’astrofisico italiano Massimo Teodorani “Sfere di luce” che riferisce degli innumerevoli casi di luci anomale di ogni tipo registrati in ogni parte del mondo.
… … …
Dall’estate la vita è ripresa apparentemente in modo normale, a parte qualche altro ”sogno” speciale…  e a parte una stella di cristallo (un poliedro a venti facce) piena d’acqua, che ho trovato un mattino di ottobre appesa al mio motorino senza un biglietto, che ora mi tiene compagnia sul monitor del mio PC al lavoro. Quando la osservo mi sembra di sentire un brano di quei precetti dell’antica tradizione di cui De Muro ci raccontava all’inizio del secolo scorso ne “Is contus de sa Nuraxia”:
“Nell’antichità… non avevamo ancora imparato a parlare, ma avevamo imparato a fare suoni con la bocca, e con questi suoni riuscivamo a tenere contatti fuori dal mondo.

“Se vuoi avere memoria con la gente che vive nei mondi che sono in mezzo alle stelle, vacci di notte, nel luogo giusto, che di giorno c’è troppo rumore. E se ci vai dai retta agli antichi: fai che le tue parti interiori tintinnino come fili di rame quando tira il vento, perché ogni oncia della tua carne mortale che ti veste è buona per ricevere tutti i suoni muti che arrivano dagli astri, e sono suoni muti da carni vive che non hanno fine. Per sentirli dovrai portare i tuoi tendini e i sentimenti tuoi fuori dal tempo e dallo spazio, e in quel silenzio sentirai i suoni muti di chi è vestito col corpo che non ha fine, come una lingua fatta di melodie che ti riempiranno di sapore…

“ Nell’ Eterno-Increato-Universo-Creatore non esiste né ieri né domani. Là tutto è energia intelligente, e non esistono forme né immagini, e ci sono tutte le forme e le immagini, i tempi e i luoghi, e non v’è passo per le cose e gli esseri creati per questo universo, per cui non esiste pensiero umano che lo possa comprendere… “
… … …
Da qualche anno Luigi ogni sera apre il cancello del suo grande cortile piacevolmente disordinato a chiunque voglia condividere l'esperienza delle "stelle ballerine" e ascoltare alcuni dei racconti che i nonni e le nonne stanno iniziando a dimenticare…E’ incredibile, quasi ogni giorno c’è qualcuno che arriva, anche non avvisando, a volte senza sapere nemmeno bene perché va lì… e lui non manca mai ad accoglierlo. Ciascuno poi sente, crede e commenta quel che vuole…

Ma si porta a casa un'esperienza comunque magica e speciale.
E quest’esperienza ho voluto condividere con voi.   

Mx














































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